Platea

Un altro importante pezzo della recitazione Italiana se n’è andato

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E’ morto la scorsa settimana a Roma l’attore, regista e sceneggiatore Lino Capolicchio, indimenticabile protagonista del nostro cinema e del nostro teatro, principalmente ricordato dal pubblico per il suo ruolo da protagonista nel film Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica, del 1970, che vinse l’Oscar per il miglior film straniero, l’Orso d’oro al Festival di Berlino e consentì a Capolicchio di vincere il David di Donatello.

Era nato a Merano, in provincia di Bolzano, quasi 79 anni fa, si era subito trasferito con la famiglia a Torino e poi, da lì, a Roma dove si è diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Poco più che ventenne ha esordito in teatro con la Compagnia di Giorgio Strehler del Piccolo di Milano ne le Baruffe Chiozzotte di Carlo Goldoni. L’anno dopo, era il 1965, ancora il Maestro Strehler è in scena con la piece Il gioco dei potenti di Shakespeare. Alla fine degli anni 60 fa il suo debutto in televisione: all’epoca la Rai, che producevasceneggiati tratti da grandi opere letterarie, lo selezionò per Il Conte di Montecristo.

Subito dopo arrivò il cinema con La bisbetica domata al fianco di due colossi come Richard Burton e Elizabeth Taylor. Da quel ruolo parte la sua carriera cinematografica che lo porta a recitare sotto la direzione di registi come Roberto Faenza in Escalation per il suo primo ruolo da protagonista, Dino Risi, Giuseppe Patroni Griffi in Metti una sera a cena.

Di De Sica abbiamo detto e poi Carlo Lizzani, Sandro Bolchi e, soprattutto, pupi Avati che lo volle nel thriller La casa dalle finestre che ridono. Con il regista Bolognese, Capolicchio ebbe un lungo sodalizio professionale che li ha portati a collaborare in altre sei pellicole; l’ultima nel 2010 Una sconfinata giovinezza dopo la quale l’attore è ritornato a recitare principalmente in teatro e a dedicarsi alla sceneggiatura: ha scritto e diretto un film sul mondo della boxe dal titolo Pugili nel quale racconta di Tiberio Mitri, campione dei pesi medi; film che ha vinto il premio della Stampa Internazionale al festival del Cinema di Torino e che fece debuttare un giovane attore dal nome ancora sconosciuto: Pierfrancesco Favino.

Si è poi dedicato soprattutto all’insegnamento: negli anni 80 è stato titolare della Cattedra di Recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma dove ha formato altri nuovi talenti come Francesca Neri, Alessio Boni, Sabrina Ferilli, Iaia Forte, Paolo Virzì come regista.

Complessivamente ha recitato in una ottantina di opere tra teatro, cinema e televisione. Nel 2019 ha pubblicato per Rubbettino, la casa editrice di Soveria Mannelli, la sua autobiografia D’amore non si muore nella quale, oltre a raccontare sé stesso, ricorda i suoi incontri con personaggi straordinari, protagonisti così come egli stesso, di un’epoca del nostro Paese probabilmente irripetibile, che vanno da Sergio Tofano a Giorgio Strehler, da Anna Magnani a Vittorio De Sica a Pierpaolo Pasolini, da Federico Fellini a Carmelo Bene a Fabrizio De Andrè.

Capolicchio è stato anche doppiatore: ha dato la voce a Michael Maloney, Laerte nell’Amleto diretto da Kenneth Branagh e a Bo Duke in due stagioni del telefilm Hazzard.

Con Lino Capolicchio, attore di grande garbo, se ne va silenziosamente un altro importante pezzo della storia della recitazione italiana.

Werner Altomare


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